L’astronave atterrò nottetempo e senza alcun rumore in una spianata oltre i confini del Grande Raccordo Anulare. L’Essere ne discese rapido azionando il comando che rendeva la grande nave completamente invisibile. La luce bluastra che emanava dal suo corpo immateriale illuminò la campagna per alcuni metri. Mentre si allontanava dalla nave la luce si affievolì gradualmente fino a scomparire. L’alieno avanzava agile e invisibile nell’oscurità, non appesantito dal corpo materiale che miliardi di anni di evoluzione avevano ormai eliminato. L’essere, in base alle necessità e agli stati d’animo, poteva manifestarsi come una sfera luminosa, una sagoma appena palpabile dai contorni indefiniti o, all’opposto, solidificarsi in una forma materiale e assumere l’aspetto che più desiderava.
Superato il Grande Raccordo, deserto a quell’ora della notte, si inoltrò nella periferia della grande città, Roma, obiettivo della sua missione. Dopo miliardi di anni di ricerche, condotte scandagliando gli spazi siderali dell’Universo, era stato individuato, nascosto nelle profonde spirali della Via Lattea, quel minuscolo pianeta azzurro, ricco di acqua e abitato da organismi abbastanza evoluti da meritare un esame ravvicinato. Bisognava valutare se gli esseri umani avessero raggiunto lo stadio evolutivo appropriato per fondersi con l’intelligenza collettiva che da secoli si andava aggregando ed espandendo nell’universo e di cui l’Essere era una parte e il tutto al tempo stesso. La zona di atterraggio, la città di Roma, era stata scelta attentamente e corrispondeva al luogo, sulla terra, dove erano più abbondanti le tracce dei progressi compiuti dall’intelligenza umana. Mentre procedeva verso il centro della città l’alieno ammirava compiaciuto le strade e i palazzi, le loro geometrie perfette, la bellezza degli scorci architettonici, le opere d’arte sparse un po’ ovunque , quasi a sottolineare la sensibilità, l’intelligenza e i progressi compiuti della specie che abitava il pianeta. Monumenti, chiese, palazzi, statue confermavano le informazioni raccolte e l’opportunità di procedere a un’indagine più approfondita sugli abitanti del pianeta azzurro. L’alba iniziava a rischiarare timidamente il cielo con una luce rossastra e le strade cominciavano a popolarsi; l’Essere scelse di mimetizzarsi assumendo l’aspetto di un umano maschio di mezza età. Doveva stabilire un contatto con gli umani, conoscerli, sondare i loro modi di pensare ed agire, la loro organizzazione sociale e infine, se ne fossero stati degni, prepararli al passo determinante del loro processo evolutivo: la fusione delle specie umana con l’intelligenza universale di cui egli era parte e tutto. Il nuovo stadio evolutivo avrebbe donato all’umanità la beatitudine eterna, l’immortalità, l’annullamento del dolore e della sofferenza, il piacere dei sensi e la serenità perenne in quanto parte di un organismo superiore e universale. Il suo compito richiedeva molta cautela, l’annuncio doveva essere dato prima agli individui migliori, i più influenti di quella specie, affinché preparassero le menti più deboli e fungessero da guida per tutti gli altri. Entrò in un locale che sull’ingresso recava la scritta luminosa “Bar” e dove, a quell’ora, si erano radunati numerosi umani intenti a bere una bevanda scura e mangiare strane pagnotte a due corni, morbide e dal profumo delizioso. Anche nell’alimentazione si presentiva l’avanzato stadio evolutivo di quella specie. L’essere si avvicinò a uno degli umani, intento a mangiare, appoggiato ad un alto bancone e con un sorriso, com’era consuetudine tra i suoi simili, abituati a convivere nella coscienza collettiva, gli chiese di condividere il pasto. L’umano lo guardò con gli occhi sgranati tirando indietro la pagnotta e dicendo;
– Aoh, ma pé chi mai preso? Pe’ Babbo Natale?
L’essere non comprese perché l’umano gli rifiutava la condivisione del pasto. La solidarietà, l’ospitalità, la comunione dei beni e la gentilezza verso i propri simili erano caratteristiche ben radicate nelle specie giunte ad un alto livello evolutivo.
Pensò di avere infranto qualche tradizione o regola di comportamento terrestri e pertanto, mostrando un sorriso ancora più luminoso, spiegò che egli non era del posto, era straniero e da poco arrivato in città, non aveva nulla da mangiare ne un ricovero dove dormire e si rivolgeva perciò agli abitanti del posto affinché gli offrissero ospitalità, un giaciglio per la notte e cibo per i giorni che avrebbe trascorso in loro compagnia.
Questa volta il fenomeno degli occhi sgranati si diffuse a tutti gli umani presenti nel locale chiamato Bar e subito dopo, tutti insieme, iniziarono a ridere fragorosamente.
Di nuovo l’uomo al bancone lo apostrofò con parole che non si aspettava;
– Anvedi questo! Chi ssei? Sei extracomunitario? Sei clandestino? T’ho sgamato! Perché invece de venì quà a rompe li cojoni nun ve ne restate a casetta vostra? Che ve credete? Solo pecché hai attraversato er mare su nà bagnarola noi te dovemo dà da magnà e magari te dovemo pure dà ‘n lavoro?
L’alieno tentò di decifrare il significato delle parole che l’umano gli rivolgeva con atteggiamento bellicoso e irridente. Invero egli aveva attraversato il mare dello spazio profondo ma non riusciva a comprendere perché un umano, membro di una specie tanto evoluta, gli negasse la dovuta ospitalità e lo offendesse, accusandolo addirittura di cercare un lavoro.
– Perché mai, mio buon signore, oltre all’ospitalità che mi spetta dovrei anche desiderare un lavoro?
– Aoh ma stai a fa’ ‘r vago? Hai capito questo! Nun solo vole magnà a sbafo ma nun glie và manco de lavorà. E che te credi che quà stamo a pettinà ‘e bambole?
L’alieno rimase stupito. Tornò a guardare fuori dal locale, ammirò la magnifica fontana proprio di fronte l’ingresso del Bar prodotto inequivocabile di una civiltà superiore. Quella civiltà, se aveva costruito tali magnificenze, possedeva certamente sensibilità e tecnologia sufficientemente sviluppate da non avere più alcun bisogno di lavorare. Gli individui della sua specie, ormai da secoli, soddisfacevano i bisogni materiali con processi completamente automatizzati, liberi dalla schiavitù del lavoro e concentrati esclusivamente a godere della bellezza della vita e dell’universo. Tornato verso l’uomo al bancone domandò con stupore;
– Come possono, esseri dotati di tale ingegno da realizzare manufatti belli come quella fontana, pensare di sprecare il loro tempo lavorando? Lei conosce chi ha realizzato questo superbo manufatto? Forse è a lui che devo rivolgermi?
– Me stai a pijà pe culo? E io che cazzo ne sò chi l’ha fatta sta robba. Sarà morto da n’pezzo. So cose vecchie quelle, nun le fa più nessuno.
Questa volta fu l’Alieno a sgranare gli occhi. Gli sembrava impossibile che i meravigliosi palazzi ammirati durante il percorso, i manufatti pregevolissimi e le opere d’arte, strumenti indispensabili per il ristoro e il godimento dell’animo e della mente non li facesse più nessuno.
Forse si era imbattuto in alcuni esponenti meno evoluti della specie, individui con menti ancora primitive;
– Sarebbe possibile parlare con i vostri capi? Ho bisogno di conferire con loro urgentemente.
– A quelli? Stanno qua dietro, s’o n’quattati a Montecitorio; o’ riconosci pecchè davanti c’è stà ‘n sacco de gente in divisa e co l’armi spianate.
– Uomini Armati? Usate ancora usate le armi?
– E certo, mica quelli der Governo sò scemi! Se nun c’erano gli sbirri armati a difennerli sai che culo gl’avevamo fatto!
– Non capisco, i vostri capi, coloro che vi guidano, hanno bisogno di essere difesi ? E da chi?
– Come da chi? Ma dai cittadini e da chi sennò? Quelli sò na manica de zozzi: s’abbuffeno, se fanno l’affaracci loro e a noi c’ò mettono sempre a quer posto. Tu forse sei extracomunitario e nu lo sai ma pe noi è sempre come scivolà su un tappeto de cazzi; ndo cadi cadi lo pij ar culo.
– Scusi ma i vostri governanti non fanno il bene del popolo che governano? Non è loro imperativo morale farlo? E soprattutto, perché li fate comandare se non fanno il bene della specie?
– Si vabbè! Ma tu ‘ndò vivi? Apparecchia il culo per due che porto ‘n’amico! Ma l’hai capito o no che quelli se sò magnati tutto e a noi ce raccontano che c’è a crisi, che nun ce sò sordi e che dovemo dà risparmià! E quà c’hai raggione Clandestino mio, noi nun famo niente, li lassamo fa! Il fatto è che semo de gran fregnoni e poi, pe dilla tutta, se ce fossimo noi al posto loro ce metteremmo a rubbà pure noi, semo fatti così! Nun c’è gniente da fà!
– Continuo a non capire: la vostra specie ha eretto monumenti magnifici, le statue, i palazzi, non è possibile vi siate ridotti così.
– E daje, quella è robba vecchia, t’ho detto! E poi ormai i monumenti, i palazzi, si sò vennuti tutti pè abbassà er debbito pubblico, dicono loro, ma a verità e che se sò messi d’accordo co n’altra manica de delinquenti amici loro, fori dal’Italia, pe fregasse tutto.
– Vuole dire che i vostri capi complottano contro i loro stessi simili per accaparrarsi le ricchezze del paese?
– Aoh, e sì le cose nun le sai …salle! T’ho detto che se sò ‘nventati a crisi, insieme a quel’artri amici loro in Europa, che sò comunitari ma sò Zozzi e no Extra com’a te. Cò a crisi se sò pigliati tutto e noi, che nun c’avemo più un cazzo, se volemo magnà dovemo lavorà, più de prima e cò metà de sordi de prima. L’hai capita mò?
L’alieno uscì dal Bar sconvolto e dovette far ricorso all’aiuto dei miliardi di coscienze che contemporaneamente facevano parte di se e come lui avevano appena vissuto un’esperienza inaspettata e traumatica. Si erano sbagliati! Anni di ricerca che sembravano fossero stati coronati da un grande successo si rivelavano invece un sonoro fallimento. Per la prima volta nella storia dell’universo una specie, progredita tanto da potere ambire a un superiore stadio evolutivo, come testimoniava la magnificenza delle arti, il benessere diffuso, la tecnologia, aveva subito, contro ogni previsione, una terribile regressione. Invece di usare la tecnologia per liberare l’essere umano dalla schiavitù del lavoro, la usava per sottometterlo. Anziché creare un mondo ideale dove tutti potessero vivere felici e in armonia, coltivare le arti e la cultura, la solidarietà e la bellezza, si erano consegnati inspiegabilmente alla barbarie. I loro capi, evidentemente regrediti insieme alla maggioranza della popolazione, vendevano la ricchezza e le bellezze del loro stesso paese in cambio di effimeri privilegi personali pronti a usare le armi per tenere a bada i loro simili derubati.
Mentre tornava alla sua astronave l’essere era triste e abbattuto. Sopraffatto dal disappunto e dalla consapevolezza che gli umani stavano tornando esseri primitivi lontani dall’essere all’altezza di far dell’intelligenza collettiva che pulsava dentro e fuori di lui e che lo avvolgeva nell’eterna beatitudine. Senza un rumore, proprio come era arrivata, l’astronave decollò, sparendo velocissima nello spazio profondo.