Nel 1861 scompare il regno delle due Sicilie e viene proclamata l’Italia unita. Alcuni storici datano al 1861 anche l’origine della questione meridionale. Il Sud d’Italia, una regione prospera per quei tempi, precipita gradualmente verso la povertà e il sottosviluppo facendo dell’emigrazione e della miseria i suoi caratteri distintivi. Il Nord del paese, al contrario, migliora progressivamente la sua condizione, incrementa le infrastrutture, il commercio e diventa negli anni del dopoguerra il cuore industriale della Nazione. Il Sud arranca e c’è chi attribuisce lo sviluppo del Nord al sottosviluppo del Sud a cui sono state rubate, dal 1861 in poi, ricchezze e opportunità di sviluppo. Questo alternarsi di fortune potrebbe avere suggerito al Leader del maggiore Partito del Nord il cambio radicale della linea politica della Lega, non più secessionista ma pronta a contendere la rappresentanza in tutte le regioni del Sud.
Non credo al ravvedimento di Salvini ma al suo fiuto politico si.
La metamorfosi infatti nasce dall’avere scoperto di essere meridionale pure lui!
Un altro Nord incombe sulla sua Padania e la sta lentamente fagocitando, insieme al resto d’Italia, trasformandola in un altro Sud, un altro meridione, il Sud degli Stati Uniti d’Europa.
Il nuovo Sud è destinato a subire la stessa sorte toccata ai territori del Regno delle due Sicilie: essere impoverito, ghettizzato e abbandonato a se stesso per garantire progresso e prosperità al ricco Nord. I fatti stanno li a dimostrarlo. L’Italia, una Nazione ricca e prospera, divenuta negli anni del dopoguerra la quinta potenza industriale del mondo, negli ultimi trent’anni, conosce una crisi economica apparentemente irreversibile. Perde il 25% della produzione industriale, gli investimenti pubblici crollano e così pure quelli privati, la disoccupazione cresce a dismisura, il patrimonio pubblico e quello privato vengano progressivamente depauperati e svenduti. Alitalia, Autostrade, Ilva e FCA, una volta Fiat, sono i più recenti ed eclatanti esempi del disastroso percorso su cui il Paese è stato condotto.
Tornando all’analogia con il 1861, i libri di storia narrano le gesta di Garibaldi e dei Mille ma sorvolano su alcuni dettagli. Un manipolo di soli mille uomini tenne testa e sconfisse migliaia di soldati dell’esercito borbonico ben armati ed equipaggiati. Garibaldi sarà stato anche un grande stratega ma per sbaragliare un esercito centinaia di volte più numeroso e meglio armato forse la strategia non sarebbe bastata. La storia non ufficiale racconta infatti di manovre esterne di Francia e Inghilterra, di complotti massonici, di accordi con le mafie locali, di generali e graduati dell’esercito borbonico collaborazionisti, per ideale o interesse, e lo stesso valse per politici di prima e seconda fascia del Regno delle due Sicilie. Solo così si spiega un esito del conflitto che altrimenti sarebbe stato ampiamente scontato. Oggi si ripropone lo stesso scenario ma i meccanismi messi in moto sono molto più raffinati e meglio orchestrati. L’obiettivo stavolta non è l’annessione del Regno di Napoli ma dell’Italia tutta, delle sue industrie, dei suoi marchi, dei suoi asset finanziari e infine del più grande risparmio privato del mondo, quello detenuto ancora oggi dai cittadini Italiani. I Mille oggi non servono, ne bastano molto meno purché si tratti di banchieri, burocrati, finanzieri d’assalto e politici che all’occorrenza possono ricoprire questi ruoli a fasi alterne, passando agilmente da incarichi istituzionali a ben remunerati incarichi privati e viceversa. Draghi, Monti, Prodi sono solo alcuni dei protagonisti più noti di questa strategia, di questa tragedia. Agli eserciti, ormai strumenti obsoleti nelle contese tra Stati, si è sostituito il diritto, incarnato in trattati sovranazionali mai ratificati da un voto popolare, le armi invece sono state rimpiazzate dai vincoli economici e finanziari e dalla moneta unica, l’Euro, di gran lunga l’arma più efficace. Ma perché tutto questo potesse funzionare c’era bisogno di un’ideologia che desse valenza scientifica e autorevolezza a un assetto economico e istituzionale assurdo e controproducente per gli Stati democratici: il Neoliberismo di Milton Friedman e Friedrich Von Hayek. Una teoria economica assurta al ruolo di religione laica, un dogma, abbracciato da tutti i partiti italiani, dai sindacati, dall’élite imprenditoriale, dai giornalisti e dagli intellettuali. Tutti lo accettano per fede e nessuno si permette di criticarlo. E perché dovrebbero farlo? L’adesione al dogma garantisce carriera, soldi, prestigio e successo e poco male se il Paese nel frattempo si inabissa in una crisi resa artatamente irreversibile. Il dogma neoliberista impedisce agli Stati di mettere in campo le azioni politiche ed economiche indispensabili ogniqualvolta il ciclo economico diventi sfavorevole; lo diceva un certo John Maynard Keynes e lo dicono, inascoltati, decine di economisti e premi Nobel. Il dogma neoliberista consegna il potere nelle mani delle Élite finanziare e impedisce agli Stati di spendere la propria Moneta a deficit per sostenere l’economia nazionale. L’Italia è addirittura stata espropriata della propria Moneta e, con l’adesione ai Trattati Europei, le viene anche impedito di legiferare liberamente nell’esclusivo interesse dei cittadini. Accecati dal dogma il Debito Pubblico, in moneta sovrana, è stato demonizzato e presentato come il mostro da abbattere e non come lo strumento che sostiene e arricchisce l’economia di una Nazione. Nessuno guarda a come USA, Inghilterra e Giappone hanno affrontato la crisi, cioè facendo deficit a due cifre, ovvero spesa pubblica, ovvero debito in moneta sovrana, la propria moneta di cui essi dispongono illimitatamente. Nessuno sembra accorgersi che in Europa gli unici Paesi a crescere sono, Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca, testardamente rimasti fuori dalla moneta unica e pronti a finanziare le proprie economie con le loro piccole e deboli monete sovrane. Nessuno attribuisce il boom economico della Cina, un Paese che solo pochi anni fa era sottosviluppato ed essenzialmente agricolo, al fatto che gli oligarchi dagli occhi a mandorla abbiano capito come si finanzia l’economia nazionale con Moneta Sovrana! Oggi, come nel 1861, siamo le vittime di una guerra di conquista che, come tutte le guerre, anche se combattute senza cannoni e carri armati, è ricca di vittime innocenti, uccise però dal precariato, dalla recessione e dalla perdita di speranza per il futuro. Il MES, di cui tanto oggi tanto si discute, non è altro che l’ennesimo strumento studiato per distruggere gli Stati democratici. Una truffa semantica e dottrinale perché postula la possibilità che uno Stato possa fallire e non rimborsare i suoi titoli di Stato, una castroneria che farebbe sbellicare dalle risate se non fosse stata assunta come atto di fede.
Un nuovo 1861 per l’Italia, Meridione d’Europa, sta arrivando!